Matteo Rubbi
Matteo Rubbi-Let the stars sit wherever they will
24/10/2013 - 22/01/2014
—–english version below
Matteo Rubbi
LET THE STARS SIT WHEREVER THEY WILL
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finissage: 22 gennaio 2014
“Lascia che le stelle si posino dove vogliono”, disse ad un certo punto Ma’ii, il coyote, spazientito da Áltzé hastiin, il Primo Uomo, che con troppo zelo posizionava ad una ad una le pietre-stelle nel cielo, componendo figure troppo regolari. Dopo aver raccolto con le sue zampe tutte le pietre-stelle rimaste le gettò in aria e soffiando forte le sparpagliò a caso e per sempre nel cielo notturno. Così narra un’antica leggenda del popolo Navajo.
La mostra comincia da qui. Dal rompicapo dell’ordinare le cose intorno a noi, del costruire un contratto stabile con ciò che ci circonda. E dall’impossibilità strutturale, o forse è meglio dire inutilità strutturale di risolvere questo rebus. Si arriva fino ad un certo punto, un limite fisico, umano, dove emerge un silenzio primordiale, intoccabile. Non essendo che uomini, camminavamo tra gli alberi, scriveva Dylan Thomas, già citato da Rubbi per la sua personale alla GAMeC di Bergamo nel 2011. Alle pendici degli alberi comincia il nostro sguardo, si fonda il nostro regno, da lì partono i nostri viaggi per le cose piccolissime e per le cose grandissime.
Migliaia di piccole montagne compongono un paesaggio-puzzle da risolvere in continua evoluzione. Costellazioni antropomorfe cucite nella stoffa rievocano una danza incessante, altre, lunghissime, seguono le anse di un fiume apparentemente esotico; una montagna di rame pieno passa di mano in mano come una domanda scomoda e senza risposta, una grotta rivela le tracce del passaggio di un fuggiasco, o del rifugio di un vecchio dio. Questi alcuni indizi sui lavori che sono esposti. Dalle montagne dell’Arizona alle cime delle Alpi, dai cieli Navajo ai fiumi mitici e avvolgenti. L’invenzione di un viaggio dentro e fuori la terra, tra stalattiti e stelle.
Una mostra in divenire, fatta di esplorazioni ad alta quota, workshop aperti al pubblico e collaborazioni che ne completeranno e ne metteranno in discussione forma e stabilità.
Immagine: Matteo Rubbi “Revolving Man, Revolving Woman” (dettaglio)
Let the stars sit wherever they will, cit. da The Navajo Creation Story di Diné Bahané
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finissage: January 22nd, 2014
“Let the stars sit where ever they will”, said Ma’ii the coyote, who lost his patience with Áltzé hastiin, the first man, who were placing the stones-stars one by one, with precision and control into the sky. With all the stones collected in his paws, he threw them into the sky with a strong blow scattering them randomly and forever across the night sky.
The exhibition starts from here; from the problem of organising the things around us: building a stable relationship with everything which surrounds us. There is a structural impossibility; or perhaps more precisely, a structural futility to solve this puzzle.
One arrives at a certain point, at a physical human boundary, where an untouchable and primal silence emerges. “Being but men, we walked into the trees” wrote Dylan Thomas, already cited by Rubbi in an earlier exhibition held at GAMEC in Bergamo in 2011. We begin the search at the slopes of the trees, we found our kingdom, and from there begins our trip in search of the small and great things.
Thousands of small mountains make up a landscape puzzle. Anthropomorphic constellations sewn into fabric evoke a ceaseless dance, others follow the curves of a seemingly exotic river. A solid copper mountain is passed from hand to hand, like an uncomfortable question without an answer; a cave in the rocks reveals the passage of a fugitive, or the shelter of an old god.
From the mountains of Arizona to the peaks of the Alps, from the Navajo sky to the mythical and enveloping rivers, it is to invent a journey in and out of the earth, among stalactites and stars. An exhibition in the making, made of high-altitude exploration, workshops open to the public and partnerships that complement and question the form and stability of the exhibition itself.